


5 nov 2025
“Più di ogni altra riforma amministrativa, la ferrovia consoliderà l’indipendenza”. L’intuizione di Camillo Benso Cavour, formulata già negli anni Quaranta dell’Ottocento, anticipava la funzione sistemica del treno: cucire territori, avvicinare comunità, trasformare la carta politica in una rete viva di scambi. Da questa visione prende avvio “Ferrovie d’Italia (1861-2025). Dall’Unità nazionale alle sfide del futuro”, il percorso espositivo promosso da VIVE – Vittoriano e Palazzo Venezia insieme al Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, che mette in scena a Roma un racconto di infrastrutture, identità e modernizzazione.
“Più di ogni altra riforma amministrativa, la ferrovia consoliderà l’indipendenza”. L’intuizione di Camillo Benso Cavour, formulata già negli anni Quaranta dell’Ottocento, anticipava la funzione sistemica del treno: cucire territori, avvicinare comunità, trasformare la carta politica in una rete viva di scambi. Da questa visione prende avvio “Ferrovie d’Italia (1861-2025). Dall’Unità nazionale alle sfide del futuro”, il percorso espositivo promosso da VIVE – Vittoriano e Palazzo Venezia insieme al Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, che mette in scena a Roma un racconto di infrastrutture, identità e modernizzazione.
Fino all’11 gennaio, tra la Sala Zanardelli del Vittoriano e il Giardino grande di Palazzo Venezia, la mostra indaga come i binari abbiano inciso sulla storia del Paese e sulla vita delle persone, ben oltre la dimensione del semplice trasporto. Il treno ha ridisegnato la percezione del tempo, accorciato le distanze, abilitato nuove forme di lavoro e comunità, diventando un dispositivo culturale capace di orientare mentalità e immaginari collettivi.
Nel presentare il progetto, Edith Gabrielli – curatrice del percorso e direttrice generale del VIVE – sottolinea come le Ferrovie abbiano contribuito a “fare gli italiani”, trasformando una penisola in nazione. Tommaso Tanzilli, presidente del Gruppo FS, rimarca che l’esposizione non è un’autocelebrazione, ma un esercizio di memoria e responsabilità: riconoscere ciò che le Ferrovie dello Stato hanno reso possibile e, soprattutto, indicare ciò che resta da fare per accelerare la modernizzazione del Paese nelle prossime stagioni.
La cronologia espositiva attraversa 120 anni di storia aziendale – dal 1905 a oggi – e, per estensione, ogni fase cruciale italiana: la ricostruzione del secondo dopoguerra, il boom economico, l’era dell’Alta Velocità e la trasformazione digitale in corso. Il primo segmento, focalizzato sul periodo 1861-1904, racconta l’ardua metamorfosi delle prime reti regionali in un sistema nazionale: con De Nittis e Morbelli il treno entra nella quotidianità, impone un “tempo comune”, crea nuove professioni e accorcia mentalmente il Paese. Il bronzo di Ignazio Boggio con il Busto di Cavour pare assistere soddisfatto all’inaugurazione della Napoli-Portici immortalata da Salvatore Fergola (3 ottobre 1839, alla presenza di Ferdinando II delle Due Sicilie), una scena che segna l’inizio simbolico della modernità su rotaia.

La seconda sezione, 1905-1944, si apre con la svolta della nazionalizzazione: un passaggio che consolida governance, standard e investimenti. In una tela di Ettore Tito, la modernità entra nel mondo contadino come un pennacchio di vapore che taglia l’orizzonte; il paesaggio rurale si misura con un nuovo ritmo, tra fascinazione e spaesamento. Con la Prima guerra mondiale, la rete ferroviaria diventa cuore logistico dello sforzo bellico: le “tradotte” portano uomini e rifornimenti al fronte, mentre l’addio al treno si condensa nel fazzoletto bianco della donna dipinta da Anselmo Bucci che saluta il marito in partenza, e nel viaggio sobrio e doloroso di una vedova con la figlia. Pochi anni più tardi le rotaie assumono la dimensione del lutto collettivo: da Aquileia a Roma corre il convoglio che trasporta la salma del Milite Ignoto, oggi custodita nel Vittoriano all’Altare della Patria. In parallelo, il treno entra nelle arti e nelle lettere – da Carducci a Pirandello – come simbolo duplice: promessa di progresso e libertà per i futuristi come Boccioni, ma anche emblema di alienazione dell’uomo moderno.
Dal 1945 al 1984 la mostra segue la ricostruzione e la nascita dell’Italia industriale, le grandi migrazioni interne dal Sud verso il Nord e l’esplosione del pendolarismo, fotografia fedele di un Paese che si sposta, lavora, studia e riorganizza i propri flussi quotidiani grazie all’offerta ferroviaria. I binari diventano infrastruttura sociale, connessi alle politiche abitative, alla crescita delle periferie e alla nuova geografia dei servizi: l’accessibilità non è più un concetto astratto, ma un fattore competitivo che ridisegna mappe economiche e culturali.
Il quarto movimento, dal 1985 a oggi, mette a fuoco l’innovazione tecnologica e la sostenibilità. Dall’Alta Velocità alla digitalizzazione dei servizi, dalla manutenzione predittiva all’intermodalità, la ferrovia si riposiziona come leva strategica per la transizione ecologica: meno emissioni, più qualità del viaggio, integrazione con il trasporto locale e connessioni aereo-ferro che accorciano l’Italia e la proiettano in Europa. La Sala Zanardelli ospita una sezione immersiva, pensata per coinvolgere i visitatori anche sul piano sensoriale ed emotivo, a testimonianza di come l’esperienza ferroviaria sia, oggi, anche esperienza di dati, design e customer experience.
All’aperto, nel Giardino grande di Palazzo Venezia, due monumentali riproduzioni in scala riportano a bordo di due icone del secondo dopoguerra, il “Settebello” e l’“Arlecchino”: design italiano allo stato puro, sintesi di comfort, aerodinamica e stile che hanno segnato l’immaginario di generazioni e che oggi dialogano con il presente come archetipi di qualità e visione. Non è solo nostalgia, ma una linea di continuità tra heritage e innovazione: ciò che ha reso desiderabile il viaggio ieri torna utile per progettare quello di domani.

Nel suo insieme, “Ferrovie d’Italia (1861-2025)” propone un viaggio culturale e civile: guardare al treno significa rileggere l’Unità come progetto in divenire – fatto di standard, sicurezza, frequenze, interoperabilità – e misurare la capacità di un sistema-Paese di fare squadra tra istituzioni, imprese e territori. È un invito a considerare la ferrovia non come sfondo, ma come attore della modernità italiana: una piattaforma che ha plasmato paesaggi, professioni e linguaggi e che oggi, davanti alle sfide della sostenibilità e della competitività internazionale, torna ad essere frontiera di sviluppo.
Chi visiterà il percorso tra Vittoriano e Palazzo Venezia ritroverà quadri, documenti, modelli e suoni, ma soprattutto una prospettiva: i binari come infrastruttura di identità nazionale e, insieme, come laboratorio del futuro. Se l’Ottocento ha visto nella ferrovia lo strumento per unire, il nostro tempo la chiama a coniugare velocità e inclusione, efficienza e bellezza, tecnologia e prossimità. È la stessa promessa che attraversa la mostra: un’Italia che continua a muoversi, innovare e riconoscersi sui propri binari.

