


5 nov 2025
L’Associazione NOMYA annuncia l’ingresso, nel novembre 2025, di dieci nuovi soci internazionali: Juanjuan Pan, Chen Xiao, Yulan Gao, Kai Wang, Xuewen Mao, Hua Li, Yaping Yang, Qiao Sun, Haixia Xu e Yujie Li. Questa coorte internazionale rafforza strategicamente la nostra capacità di attivare dialoghi transnazionali, sostenere pratiche di ricerca d’avanguardia e promuovere progettualità a forte impatto culturale tra l’Italia e il contesto globale. Le ammissioni sono il risultato di una selezione fondata su qualità autoriale, continuità del percorso di ricerca e contributo culturale, in piena coerenza con la mission di NOMYA: valorizzare i linguaggi contemporanei che indagano temi sociali, identitari e umani con rigore critico e visione.
L’Associazione NOMYA annuncia l’ingresso, nel novembre 2025, di dieci nuovi soci internazionali : Juanjuan Pan, Chen Xiao, Yulan Gao, Kai Wang, Xuewen Mao, Hua Li, Yaping Yang, Qiao Sun, Haixia Xu e Yujie Li. Questa coorte internazionale rafforza strategicamente la nostra capacità di attivare dialoghi transnazionali, sostenere pratiche di ricerca d’avanguardia e promuovere progettualità a forte impatto culturale tra l’Italia e il contesto globale. Le ammissioni sono il risultato di una selezione fondata su qualità autoriale, continuità del percorso di ricerca e contributo culturale, in piena coerenza con la mission di NOMYA: valorizzare i linguaggi contemporanei che indagano temi sociali, identitari e umani con rigore critico e visione.

Juanjuan Pan
Nata nel 1968, Juanjuan Pan è artista e ideatrice di dispositivi visivi concettuali che opera tra Cina e Stati Uniti. Fin dagli anni della formazione ha costruito piattaforme di scambio internazionale e ha fondato un laboratorio dedicato alla produzione d’immagine, sviluppando nel tempo progetti fotografici e audiovisivi di ampia scala. Le sue opere sono state presentate e premiate in istituzioni europee, statunitensi e asiatiche, attestando una pratica capace di coniugare ricerca, produzione e impatto pubblico.

La nostra generazione
Fotografia
In “La nostra generazione” Pan trasforma un ex spazio industriale in un palcoscenico politico delle relazioni: niente patine nostalgiche, nessun romanticismo metropolitano; restano cemento consunto, mattoni a vista, frammenti. È una scelta programmatica: l’artista afferma che l’intimità non è una sostanza pura, ma un campo variabile, storicamente situato e modellato dal tempo in cui accade.
Sul fondo dell’immagine due giovani si sfiorano, oscillano tra una danza possibile e un confronto trattenuto; i corpi negoziano continuamente prossimità e distanza nello stesso gesto. In primo piano, fuori fuoco, una figura femminile volge lo sguardo altrove: non è espulsa dalla scena, ma è fuori asse, appartiene alla medesima costellazione emotiva senza condividerne la dinamica. Questo dispositivo visivo rende esplicito che “generazione” non equivale a semplice coetaneità, bensì a un ecosistema affettivo condiviso, fatto di desiderio di connessione, fatica relazionale e ricerca di riconoscimento.
L’opera non mitizza i giovani né celebra il presente: registra una condizione collettiva — precarietà dei legami, prossimità fragile, ostinata volontà di restare umani dentro un paesaggio strutturalmente in rovina. Con “La nostra generazione” Pan sposta la fotografia dal racconto privato alla registrazione sociale, assumendo una postura curatoriale netta, già pronta a dialogare con le istituzioni sui temi delle identità generazionali contemporanee.

Chen Xiao
Autrice e curatrice di progetti d’immagine concettuale, Xiao Chen sviluppa serie come “Emotional Vortex”, “An” e “Ying-Dong”, con inviti ricorrenti a mostre internazionali e un dialogo costante con istituzioni in Cina e all’estero.Riconoscimenti: terzo premio (sezione immagine) alla Florence Biennale 2025, finalista al Pingyao International Photography, nomination agli IPA (International Photography Awards); è membro dell’Associazione Nazionale di Belle Arti d’Italia e le sue opere sono state più volte acquisite da figure e istituzioni di riferimento in Europa e negli Stati Uniti.

Tranquil
Fotografia
Nel dittico fotografico “Tranquil”, l’artista costruisce una scena ad alta tensione formale: contrasti netti di luce e ombra e un paesaggio aspro in cui si innesta una dialettica essenziale. Da un lato, una figura a braccia aperte con una colomba bianca convoca l’idea di pace e liberazione dello spirito; dall’altro, un corpo avvolto da corde rende visibile la costrizione e la lotta interiore. Attraverso questo dispositivo iconico, Chen Xiao interroga i limiti pervasivi della realtà e il bisogno profondo di emancipazione, invitando chi guarda a misurarsi con il proprio equilibrio tra libertà e confinamento nel mondo contemporaneo.

Yulan Gao
Nata nel 1981, Yulan Gao è un’artista e autrice di progetti visivi concettuali che, da oltre due decenni, conduce una ricerca continua tra fotografia e immagine in movimento lungo un asse stabile Stati Uniti–Cina. La sua pratica intreccia produzione artistica e progettazione curatoriale, con attenzione critica ai modi in cui l’identità contemporanea viene compressa, monitorata e normalizzata. I lavori di Gao hanno ottenuto riconoscimenti in importanti rassegne in Europa, negli Stati Uniti e nell’area Asia-Pacifico, entrando anche in collezioni private di figure di rilievo internazionale.
Nel lessico visivo dell’artista, il corpo non coincide mai con la sua semplice fisicità: è un campo politico, un territorio regolato da dispositivi di sguardo e poteri di definizione.

Incubo
Fotografia
In “Incubo” una figura femminile, inginocchiata nella sabbia, abita un paesaggio desertico inciso dal vento. Il primo piano è attraversato da linee curve che tagliano l’inquadratura come una gabbia elastica. L’immagine opera su una doppia soglia: da un lato suggerisce contemplazione — il volto appena sollevato, gli occhi chiusi o socchiusi, il respiro quieto — dall’altro rivela una struttura carceraria. La donna è esposta allo sguardo ma non è realmente libera. Qui il frame non si limita a registrare: funge da meccanismo di contenimento. Yulan porta così in superficie un nodo della cultura visuale contemporanea: chi governa l’inquadratura governa la narrazione dell’intimità.

Kai Wang
Nato nel 1982, Kai Wang è un pittore contemporaneo e sperimentatore di materiali che in Cina figura tra i primi a esplorare in modo sistematico la tecnica della “pittura a raschiatura”. Dopo una solida formazione nel realismo figurativo, ha riconfigurato la propria grammatica verso un sistema autonomo in cui il gesto pittorico non imita il visibile, ma lo ricostruisce come processo fisico. Le sue opere sono state esposte e premiate in Francia, Italia, Stati Uniti e Singapore, consolidando una riconoscibilità internazionale del suo linguaggio.

Ritorno alla Natura
pittura
La serie “Ritorno alla Natura” non si colloca nel paesaggismo, ma in una forma di ingegneria organica. Le tele sono attraversate da strati di verde acido, viola sospeso, rosa lacerato, blu minerale e abrasioni nere: il colore non è appoggiato in chiave ornamentale, bensì stratificato, inciso, consumato, quindi riaperto. La superficie dipinta si comporta come una crosta geologica: ciò che appare non è la rappresentazione della natura, ma il suo stesso modo di costituirsi — erosione, deposito, ricrescita.
L’assenza deliberata di alberi o orizzonti lirici sposta l’attenzione dalla cartolina al fenomeno: la natura è pressione, attrito, reazione chimica; una materia viva che insiste. La tela funziona come una sezione di terreno, un taglio stratigrafico più che un panorama, e rende visibile una dinamica di forze primarie.
All’interno di questo impianto, il colore agisce come soggetto politico. Bande verdi violente, infiltrazioni rosse e colature violette non cercano una pacificazione armonica: rivendicano presenza, potenza, energia quasi radioattiva. Il cromatismo, emancipato dalla dimensione decorativa, opera come vettore autonomo di significato.
La tecnica di raschiatura — togliere, graffiare, scoprire ciò che sta sotto — rovescia l’idea classica di pittura come somma di strati. Qui la creazione coincide con l’emersione del sepolto: “Ritorno alla Natura” non esprime nostalgia ecologista, ma ritorno ai meccanismi primari di formazione, logoramento e rigenerazione. In questa prospettiva, Wang ridefinisce la pittura come campo di forze, dove il quadro è insieme laboratorio materiale e dispositivo critico.

Xuewen Mao
Nato nell 1985, curatore e direttore dell’immagine, orienta la propria ricerca sull’intersezione mobile tra sfera privata, lavoro e matrimonio. Lavora per “campioni” del quotidiano – micro-narrazioni tratte da gesti minimi – e predilige siti post-industriali e contesti naturali intesi come veri “spazi di relazione”. La luce è prevalentemente ambientale, la regia ridotta all’essenziale: ne derivano strutture visive leggibili in culture diverse grazie a contrasti materici (cemento/epidermide, tessuto/vegetazione) e a una rigorosa economia di inquadratura che affida allo spettatore un’elevata facoltà di proiezione. I progetti, presentati tra Europa, Stati Uniti e Asia, coniugano rigore organizzativo, vocazione espositiva e capacità di diffusione pubblica, consolidando una reputazione solida nel campo dell’immagine contemporanea.

Amici
Fotografia
Nella serie “Amici”, un oggetto domestico viene dislocato nel paesaggio naturale: le pieghe del lenzuolo rispondono all’erba spontanea, la figura resta sospesa tra sonno e veglia, tra interno ed esterno. La narrazione è affidata a luce, texture e scala; la pausa diventa evento. L’intero dispositivo chiarisce la strategia di Mao: ottica naturale, parsimonia compositiva e “traduzione” dei materiali per distillare archetipi relazionali ad alta risonanza, con una tenuta museale evidente e traiettorie di sviluppo editoriale/installativo che rafforzano ulteriormente la sua posizione nell’immaginario contemporaneo.

Hua Li
Nato nel 1988, Hua Li è un autore di fotografia concettuale e di progetti visivi di lunga durata. Dal 2025 sviluppa le serie “Eclissi di Luce” e “Festa del Bagliore”, già riconosciute in ambito internazionale con presentazioni in Europa, Stati Uniti e su piattaforme fotografiche di primo piano in Cina, tra cui il Festival Internazionale di Fotografia di Pingyao. Il suo lavoro definisce una traiettoria coerente, in cui la forma fotografica diventa terreno di prova per nuove grammatiche dell’immagine.
La sua pratica si colloca in modo netto all’incrocio tra immagine, identità e psicologia. L’erosione visiva che attraversa i soggetti non è un gesto di annientamento, ma una strategia di rivelazione: l’identità smette di essere linea unica e si fa strato, ambivalenza, ambiguità. Le figure appaiono al tempo stesso umane e post-umane, sensibili e mineralizzate, come se fossero osservate simultaneamente al microscopio e al telescopio. L’artista suggerisce che l’individuo contemporaneo non è un volto da schedario, bensì un campo di radiazioni emotive in continua emissione.

clown
Fotografia
Nel ciclo “clown” la tensione si concentra sulla maschera e sulla performatività dell’io. Il viso, vicino all’iconografia del trucco teatrale, sorride per convenzione sociale: un sorriso dipinto che s’incrina su un’espressione stanca. Da qui scaturisce un’analisi puntuale e scomoda: quale quota di ciò che rendiamo visibile è autentica e quale, invece, è “compliance” emotiva? La scelta narrativa è competitiva su scala internazionale perché sposta il discorso dall’estetica alla governance dell’identità: come siamo indotti a presentarci, negoziarci, venderci.
La rotta di Hua Li risulta limpida: non si limita a ritrarre persone, ma costruisce sistemi visivi in cui il corpo opera come infrastruttura politica ed emotiva. È un approccio maturo e scalabile, già predisposto per dialoghi istituzionali e museali, capace di coniugare densità concettuale e potenzialità di diffusione pubblica.

Yaping Yang
Nata nel 1976, fotografa concettuale e organizzatrice di interventi di Land Art, orienta la propria ricerca oltre la mera documentazione del paesaggio: introduce il corpo umano dentro aree segnate dal trauma ecologico — letti fluviali prosciugati, superfici di fango fessurate, fronti di cava a cielo aperto, bacini d’acqua opachi — trasformandole in scenari di sopravvivenza emotiva e di verifica dei limiti. Il suo lavoro è stato presentato e premiato in contesti istituzionali negli Stati Uniti, a Singapore, a Osaka, al Louvre di Parigi e a Firenze, a conferma di una pratica capace di coniugare rigore concettuale e risonanza pubblica.

Figli della Terra
Fotografia
La serie “Figli della Terra” mette in campo un corpo che non esercita dominio, ma veglia, presidia, accompagna la natura nel suo esaurirsi. L’umano non si impone sul paesaggio: ne misura il battito residuo, ne ascolta le fratture, ne condivide la fatica.
In un’immagine acquatica, il corpo nudo è raccolto nell’acqua scura; cerchi concentrici di onde si allargano come un respiro misurato. La postura fetale rinvia all’origine, ma la luce, tesa e severa, sfiora il funebre. Non c’è celebrazione della rinascita: è un’estrema regressione, l’ultimo riparo possibile. L’identità sociale viene disattivata; resta l’organismo biologico che cerca una soglia minima di protezione. In questa riduzione essenziale si chiarisce l’assunto dell’artista: il corpo come sensore e interfaccia della crisi, un dispositivo che rende visibili vulnerabilità e possibilità residue di cura.

Qiao Sun
Nata nel 1982, è una fotografa concettuale e autrice di progetti narrativi di lunga durata. Ha presentato il proprio lavoro negli Stati Uniti, a Singapore, a Osaka, al Louvre di Parigi e a Firenze, ricevendo numerosi riconoscimenti internazionali. La sua ricerca interroga ciò che del “sacro” continua a operare quando le architetture istituzionali della fede risultano logore: non il culto codificato, ma le sue sopravvivenze minime, diffuse, residuali.

Il crepuscolo dell’uccello sacro
Fotografia
Nella serie “Il crepuscolo dell’uccello sacro” una figura femminile e un volatile bianco abitano ambienti semi-abbandonati che richiamano cappelle rurali e altari improvvisati. Intonaci consumati, poche candele, oggetti devozionali più recuperati che consacrati: non assistiamo alla religione ufficiale, bensì al suo “dopo”, allo stato di latenza simbolica che permane quando l’istituzione si ritira. L’economia di mezzi è programmatica e ribalta la retorica dell’iconografia sacra, spostandola su un piano domestico, periferico, post-liturgico.
Il gesto cardinale è l’atto di reggere l’animale tra le braccia. Non è sentimentalismo, è presa in carico. La protagonista guarda in macchina con lucidità frontale, quasi da verbale amministrativo, come a dichiarare: “Questo è l’ultimo capitale simbolico disponibile, e ne assumo la responsabilità.” La figura del “custode del sacro” — storicamente maschile e gerarchica — viene così riallocata in un corpo femminile singolo, decentrato, esterno alle strutture di potere.
Il volatile bianco cessa di essere pura presenza scenografica e diventa soggetto morale, equivalente di ciò che va preservato. Il lavoro suggerisce che la spiritualità contemporanea non si affida più alla Chiesa, allo Stato o all’icona canonica: migra nell’individuo, spesso una donna, in spazi di provincia e in condizioni precarie. Qui la fotografia funziona come dispositivo di responsabilizzazione civile: documenta non un luogo, ma un mandato etico — la custodia del poco che resta.

Haixia Xu
Nata nel 1989, artista di Land Art e progettista di interventi ambientali, unisce formazione nelle arti applicate e competenze di allestimento per agire non solo come autrice di immagini ma come organizzatrice e implementatrice di opere nel paesaggio. La sua attività, riconosciuta in sedi istituzionali negli Stati Uniti, a Singapore, a Osaka, al Louvre di Parigi e a Firenze, testimonia una solida capacità di dialogo con enti e musei a livello internazionale, dove progetto artistico e regia operativa procedono di pari passo.

La Terra
Fotografia
Con la serie “La Terra” l’artista riformula il rapporto tra corpo e ambiente aperto. Le figure emergono in scenari desertici ridotti all’essenziale — dune, sabbia, linea d’orizzonte — senza architetture né tracce di civiltà. I corpi sono avvolti in tute monocromatiche integrali, spesso privi di volto identificabile; talvolta il viso è “sostituito” da fiori e rami vivi. Il gesto è dichiaratamente programmatico: il soggetto smette di essere ritratto psicologico e diventa interfaccia biologica, punto di scambio tra umano e suolo, sensore di una geografia in trasformazione.
Nei piani ravvicinati, mani di cromie diverse offrono piccoli fiori alla figura principale. Non è ornamento: è un passaggio di consegne, quasi che la Natura articolasse un mandato esplicito — “questa cura ora è tua”. La scena assume un tono liturgico ma laico, interamente terrestre: un rituale minimo che trasferisce responsabilità, ridefinendo l’etica dello sguardo e restituendo al corpo la funzione di dispositivo di custodia.

Yujie Li
Nata nel 1983, artista di fotografia concettuale, opera tra produzione visiva e progettazione curatoriale su scala internazionale. La sua ricerca affronta l’intreccio fra fede, resilienza interiore e crisi delle architetture simboliche della modernità. Le immagini non funzionano come semplici scenografie: sono dispositivi critici che testano cosa sopravvive della spiritualità individuale quando le narrazioni collettive — comunità, appartenenza, promessa di senso — si incrinano.

Sconfinare nel cielo
Fotografia
In “Sconfinare nel cielo” una figura femminile in abito chiaro si appoggia ai massi della costa: il corpo vulnerabile misura la propria scala contro l’antichità della roccia, mentre l’oceano esplode alle spalle sotto un cielo violaceo, volutamente irreale. La teatralità è dichiarata; non c’è idillio paesaggistico, ma una messa in scena della fuga mentale. La natura non è santuario innocente, bensì l’ultima infrastruttura simbolica dove proiettare il desiderio di libertà. La “trascendenza” evocata è meno confessionale e più psichica: aprire orizzonti dentro la mente.
Il lavoro di Yujie Li cartografa la spiritualità contemporanea senza idealizzarla. In questo ciclo la libertà si configura come costruzione immaginaria, non garanzia materiale. La posta in gioco è istituzionalmente rilevante: la fotografia diventa strumento di indagine antropologica, non registra luoghi ma registra lo stato psichico dell’umano dopo il collasso delle vecchie certezze.

